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Non tutti i Tetrabondi riescono col buco (la vera storia di una donazione di € 136,32 per la vendita del libro su Amazon #sedottaeabbandonata)

10 Feb

(il libro lo potete trovare qui https://amzn.to/3v0JcyZ)

Come dice il detto di Confucio?

“L’uomo che fa molto sbaglia molto;
l’uomo che fa poco sbaglia poco;
l’uomo che non fa niente non
sbaglia mai; ma non è un uomo”. 

Mi piace fare, MA gli errori sono sempre in agguato. Ne ho commesso uno grave ma non per superficialità o per svogliatezza. Il mio progetto letterario con il ricavato da donare a Tetrabondi doveva esplodere, e invece mi è esploso tra le mani.

Non avevo capito i calcoli di Amazon, amen.
Ho dato per scontato delle cose che lo erano solo per me, amen.
Mi sono data due pugni in testa e data cento volte della cretina, amen.

Sto rimediando, nel bene o nel male, ma la buona fede è sempre nel bene.

Per farla brevissima 71 libri venduti x € 1,92 di royalty = 136,32 euro per Tetrabondi

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Ecco la cronologia esplicativa, per chi ha voglia di leggerla, rapida e spero indolore.

  1. Nella scelta della carta della carta di stampa non mi sembrava di aver scelto la carta più costosa e invece sì , e questo ha inciso sulle royalty.

  2. Questo è il prezzo minimo (IVA esclusa) imposto da Amazon che ho mantenuto. A destra si possono vedere le royalty a 0 ma pensavo che le caricassero dopo.

3. Queste sono le vendite di novembre (37 libri)

4. Queste sono le vendite di dicembre (30 libri)

5. Queste sono le vendite di gennaio ( 6 copie)

6. Royalty comunque a zero (pugni in testa su pugni in testa)

7. Ho contattato Amazon, per capire e mi hanno spiegato che le royalty venivano aumentate man mano che aumentavo il prezzo, nel loro prezzo minimo imposto l’autore non guadagnava nulla (è una spiegazione che non ha nessun senso, ma tant’è). Quindi siamo rimasti tutti a bocca asciutta. Così ho fatto una simulazione sul costo ipotetico da € 18, et voilà, automaticamente la royalty sale. (1,92 a libro). Costo che comunque non avrei mai fatto pagare agli utenti

8. Quindi per non saper né leggere né scrivere ho fatto un bonifico alla Fondazione Tetrabondi di € 136,32. Un ipotetico ricavo di € 1,92 x71 libri . l’iban l’ho preso da qui Homepage | Fondazione Tetrabondi

9 INFINE (perchè non se ne può più) ho ricambiato tutti i parametri su Amazon, ricaricando il libro, cambiando il tipo di carta (sperando non sia carta igienica) e abbassando il prezzo.

Magicamente a un costo di € 14,56 http://www.Fondazionetetrabondi.org riceverà € 3,52

Tutto è bene quel che finisce bene, e c’è ANCHE la versione Kindle!

E allora non che posso augurarvi una buona lettura e ricordarvi che tutto questo l’ho fatto con il cuore.


30/30 – Il coccodrillo come fa.

4 Nov

Con un pizzico di commozione presento l’ultimo racconto del progetto #sedottaebbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati). Oggi @Pa_i_Li con la sua foto ci ricorda che i colori servono solo per renderci felici.

Con questo ultimo breve scritto (a meno che non ne abbia dimenticati in giro) vi saluto e vi ringrazio per avermi accompagnato in questa avventura.
Alla prossima

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-Buongiorno signora in che cosa posso aiutarla?
– Buongiorno. Mio figlio sta cercando un piccolo regalino da farsi per aver terminato un progetto al quale teneva molto.
– Bene, venga che l’accompagno al reparto bambini. Ci sono robot, soldatini, pistole, macchin …
– Mi scusi se la interrompo subito, ma non ho capito la sua risposta. Visto che stiamo parlando di un bambino allora dobbiamo per forza andare al reparto maschile?
– Beh, non volevo farle perdere tempo in mezzo a corsie che non lo riguardavano.

Fulmino la commessa con gli occhi. Lei alza le braccia in segno di resa e mi dice poco convinta -la lascio guardare in giro con calma – mentre scuote la testa. Probabilmente se avessi avuto a che fare con uomo avrebbe anche pensato “visto anche che è in pieno mestruo”.

Non sono una di quelle mamme di oggi che devono per forza fare il contrario di tutto solo per essere contro corrente. No, non la sono, ma cerco di usare il buon senso. I bambini hanno già tante, a volte troppe regole da seguire, che a loro dicono poco, se non nulla. Lavati, vestiti, non mettere le dita nel naso, saluta la signora, chiedi per piacere prima, grazie dopo, non tirare la coda al gatto, mettiti in fila, non urlare, siediti composto, mangia ma non sporcarti, corri ma non sudare. E non si può vivere di sole regole, specie alla loro età, se no togliamo loro tutto il divertimento.

E allora tra le piccole cose che ho voluto modificare , senza violare le norme d’igiene o di buona educazione, ho deciso che non sarei entrata nel merito dei suoi gusti personali. Non gli avrei dato nessuna indicazione, per farla semplice, tra il rosa e l’azzurro. Ma ripeto, non è stato un atto rivoluzionario, è stato un peso in meno nella sua vita, una cosa in meno a cui uniformarsi.

– Mamma, mamma, ho scelto. Il portachiavi con il coccodrillo.
– Quale bambino, quello blu? Sussurra la commessa sperando di vincere questa battaglia.
– No signora, quello rosa.

Io non intervengo, lascio che sia lui a rispondere.

La padrona del negozio alla cassa, che a sua volta fulmina la commessa e che aveva assistito a tutta la scena, decide di regalarglielo solo se le racconta che progetto aveva portato a termine.

– Ho imparato a cucire i bottoni, me lo ha insegnato mio nonno.

– Ecco, tienine un altro bimbo e regalalo pure a lui.

Che poi nel cammino abbia perso quello del nonno è un altro discorso, l’importante è avere vinto una guerra, anche questa volta.

29/30 – La tenda

2 Nov

Siamo al penultimo racconto del progetto #sedottaeabbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati). @StefBertolini oggi ci accompagna per mano, con la sua fotografia, verso le prime luci dell’alba.

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-Albeggia, non sei emozionato?

-No, perchè, dovrei?

-Perchè ogni volta che la luce prende il sopravvento sul buio vuole dire che c’è ancora speranza. Perchè possiamo ogni giorno girare pagina o riaggiustare quello che abbiamo rotto il giorno precedente. Perchè davanti a uno spettacolo così immenso noi rimaniamo delle nullità. Nullità sono i nostri rancori, i nostri sotterfugi, le nostre guerre. Le prevaricazioni, i dispetti, le umiliazioni. Vuole dire che nonostante tutti i nostri miserevoli sforzi di distruggere tutto e tutti e di usare il potere come moneta di scambio, ecco, nonostante tutto, il sole appare ogni giorno. Questo cosa vuole dire secondo te?

Lui intanto si tira la coperta sopra la testa per non essere disturbato dalla prima luce del mattino. Non ha voglia di andarsi a infilare in discorsi complicati, specie ora. E’ stanco, ha finito da poco il turno di notte e si è appena infilato nel letto.

Mi piace entrare nella sua stanza e, come primo gesto d’amore, appena si è coricato, chiudere la tenda fiorata, quella con le fresie, che avevano scelto lui e mamma tanti anni prima. Poi rimango lì per un po’ a fargli compagnia. Il suo respiro regolare, il tepore della stanza, la libreria appena illuminata da un riflesso sfuggito dalla tenda. Il lento dondolio della sedia di mamma dove rimango al buio e in silenzio. Di solito questo è quello che faccio.

Oggi esito un po’ alla finestra, ma tanto lui si è addormentato. La luce da rosa incomincia a farsi più vivida, come un fiore che piano piano sboccia e poi ti lascia senza fiato.

Nel giardinetto sotto casa, la prima cosa che si vede da quassù, e che si impone su tutti gli altri, è l’annaffiatoio di mamma. Lo usava per curare i suoi fiori. Un piccolo spazio solo suo, ottenuto dopo tante battaglie burocratiche, dopo giorni di spiegazioni e carte bollate e questo solo per creare qualcosa di bello per la comunità.

Lo abbiamo lasciato lì, per ricordarci ogni giorno, che le vere lotte devono servire solo a fin di bene.

La teiera fischia, mi alzo. E’ un nuovo giorno, una nuova cosa da aggiustare, una nuova pagina da scrivere.

28/30 Piero

2 Nov

Stiamo arrivando, mio malgrado, verso la fine di questa avventura. Oggi, giornata calda e luminosa, c’è _Daniela66_ che con la foto del suo divano, per il progetto #sedottaeabbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati) ci fa compagnia

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Mi sono sentita dire per anni, ancora in adolescenza, dalle vecchie zie, quanto sarei stata bella con l’abito bianco.

Mi sono sentita dire per anni, in età da marito, dai miei più cari amici, quanto sarei stata bella con l’abito bianco e con dei figli.

Mi sono sentita dire per anni, in età da marito e da primipara attempata, dai miei genitori, quanto sarei stata bella magari non con l’abito bianco – oramai alla tua età cosa vuoi mettere il bianco- ma con tanti nipotini da portargli la domenica per ricoprirli di vizi e coccole.

Naturalmente, sia le vecchie zie, che i migliori amici, che i miei genitori sapevano che tutto questo non si sarebbe mai realizzato, ma ci speravano comunque. Credevano probabilmente che avrei messo la “testa a posto”. Che poi il “metterla” è molto soggettivo. Quello che andava bene a loro, la vita standard, chiamiamola così, a me stava stretta, e “la testa” al posto di “metterla a posto” me la avrebbero fatta scoppiare.

E così, in tutti questi anni, mentre loro blateravano di veli, pizzi, bomboniere, passeggini e scuole di yoga per infanti, appena sono andata a vivere da sola, verso i ventitre anni, mi sono comprata un cane. Non importava la razza, non mi importava nulla, l’importante è che avesse la faccia da Piero.

Piero era il mio insegnante di matematica alla Facoltà di Architettura. Un signorotto con il panciotto, anche un po’ calvo, se non ricordo male. In aula, aveva il dono della spiegazione semplice anche nei passaggi più complicati. Alcune volte, tra un teorema e l’altro, ci raccontava degli aneddoti divertenti su sua moglie Erminia, che amava quanto la matematica anche se lei, per lui, era un’equazione, la chiamava così, che non riusciva mai a risolvere.

E a me è bastato questo per guardare l’amore da vicino e non avrei sopportato di averne uno che non sarebbe stato bello come quello.

E così mi sono accontentata di un altro Piero nella mia vita, un Piero quadrupede. Un Piero dopo l’altro, mentre le stagioni si alternavano e i miei capelli si facevano sempre più grigi. Tutti i Piero della mia vita mi hanno lasciato qualcosa, quello di cui avevo bisogno, un amore incondizionato. Egoisticamente incondizionato. E non mi vergogno di questo, e non mi pento di questo. Ed è meglio sia stato così che aver sofferto o fatto soffrire qualcuno per il mio egoismo.

Ora sono vecchia e anche l’ultimo Piero se n’è andato. Ho fatto portare giù il divano che per cinquantaquattro lunghissimi anni è stato il giaciglio della luce dei miei occhi. Non voglio più prenderne altri di cani. Non sopporterei di dovermene andare io ora, prima di loro, dovendo poi dividere il mio amore che fu per loro con chi se ne prenderebbe cura dopo di me.

No non lo sopporterei, perché so che anche il mio bieco egoismo è stato comunque amore.

27bis/30 – Lasciatemi qua

1 Nov

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E anche il 27 bis lo abbiamo portato a casa. Oggi, tra la nebbia e la pioggia @un_filo ci presenta la sua foto per il progetto #sedottaeabbandonata (30 racconti in 30 giorni di vostre foto di oggetti abbandonati)

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Ora, io mi siederei qui, su questa sedia di vimini rivolta verso il mare, sopra questo cuscino bianco con i gabbiani, circondata dai panni stesi che fanno da perimetro alla mia terrazza, e rimarrei qui per sempre, a guardare l’orizzonte.

Non parlatemi più. Non ho più bisogno di ascoltare. Ne parole piene di senso che prive. Il mare mi dice tutto quello che vorrei sapere, quello di cui ho bisogno. Alcune volte mi sussurra, e io mi sento lieve, altre volte mi urla in faccia disperato tutta la sua inquietudine perché sa che in quel momento io mi sento così. E allora ci abbracciamo fino a che lui non si calma, fino a che io non mi calmo.

Ho bisogno che la brezza marina entri in tutti i miei pori, mi lavi, mi depuri da tutto quello che io penso non vada bene in me, abbandonandomi infine portandosi via tutte le scorie.

E non ho neanche più bisogno di niente. Mi spoglierò di tutti i miei averi, come San Francesco, se ne sentirò la necessità e specie delle cose a me più care, quelle a cui tengo di più. Proprio per convincere me stessa che non c’è niente di più prezioso di quello che abbiamo dentro e non di quello che abbiamo fuori.

I miei scarponcini da trekking, per esempio, quelli a cui ho lasciato il mio cuore, che mi hanno accompagnata per tanti anni, che hanno visto il mio primo bacio tra i boschi mentre le foglie autunnali, dai mille colori, ci cadevano in testa. Sono quello a cui di più tengo. Li lascio qui, vicino a un cestino, ma non dentro, perché hanno ancora tante vite da vivere. Quello che a noi non serve più, potrebbe essere utile a qualcun altro.

-Mamma

– Dimmi

– A cosa stavi pensando?

-A niente, perché?

-Non so, ti trovo sulla terrazza, mentre il vento imperversa, abbracciata a te stessa. Posso aiutarti a ritirare i panni prima che voli via tutto.

-Certo, grazie. Ah, non stavo pensando a niente, però stavo così bene facendolo.

27/30 – E sopra ogni ramo ci stava una mensola

31 Ott

Se ci fossi con la testa avrei assegnato un numero a ogni persona, come si dovrebbe, e invece, solo per questa volta avremo due 27. (il secondo ci aspetta domani) @opissochiara1 oggi ci regala la sua foto per il progetto #sedottaeabbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati in giro)

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– Chi l’ha detto che non sei una pittrice solo perchè non hai un pennello?

Mi ripeteva la mia insegnante di disegno, vicina di casa, quando andavo a fare lezione da lei una volta alla settimana. Che poi non era neanche un’insegnante, e neanche la mia vicina di casa, ma mia madre si vantava con le amiche che invece lo fosse e abitasse due piani sopra di noi. E io a forza di sentirglielo dire l’ho imparato a memoria. – Sì, faccio pittura con una famosa pittrice che abita qui sopra. No, non posso dirvi il suo nome. No, non prende altre ragazze perchè tanto dice che una più brava di me non la troverebbe.-

Fino al ’95 abitavamo in uno splendido palazzo in centro. Ma in un appartamento minuscolo che comunque non ci saremmo mai potuto permettere se non fosse stato per lo zio, fratello di mia madre. Si era trasferito al mare e ci aveva permesso di vivere dentro casa sua pagando solo le spese di consumo.

Quindi era come se fossimo ricche, ma non lo eravamo. Io, mia mamma e la gatta, Sandrina, che era tutta pelle e ossa. Non potevamo invitare nessuno a casa, mamma non voleva, e dovevamo trovare scuse in continuazione.- Ci sono i muratori, gli elettricisti, c’è una perdita che mi ha rovinato lo stucco veneziano, mica voglio farti vedere la casa conciata in questo modo. – Tutti lo avevano capito, ma mia mamma insisteva nella sua follia. Non avevamo soldi per sciocchezze, sempre come lei diceva, quindi andavo a scuola e tornavo senza partecipare a feste o compleanni, cinema o gelati con le amiche. Lei lavorava, lavorava tanto in un negozio come commessa e alcune volte di domenica, a serrande chiuse, per inventariare il magazzino.

Avevo solo un lusso, chiamiamolo così, attraversare due isolati, una volta alla settimana, per sette anni e andare dalla Signora Lina. Non era un’insegnante, non aveva neanche studiato arte, ma era un’amica della fruttivendola che ci aveva detto che sarebbe stata una perfetta maestra di sogni, e io l’ho subito adorata. La sua cucina rossa, con solo stoviglie verdi. Il salotto, dove lavoravamo, tutto bianco ma con un albero disegnato su una parete, e per ogni ramo una mensola. Per ogni mensola decine di libri. Mi è bastato questo. Per sette anni, una volta alla settimana, senza saltare un appuntamento e sempre raccogliendo qualcosa per strada, perchè quello sarebbe stato il tema del giorno. Per sette anni, una volta alla settimana le ho portato del pane fatto in casa per ringraziarla. Ancora caldo, ancora profumato. – Mettilo lì, che poi lo mangiamo con la marmellata.-

Abbiamo lavorato e dipinto con qualsiasi oggetto, con qualsiasi colore creato da foglie, sabbia, mattoni sbriciolati. Non era importante con che cosa raggiungessimo il nostro obbiettivo ma lo raggiungevamo. Foglio liscio, ruvido, quadrettato. Con i bordi, senza. Dipingevamo con forchette sbeccate, con tappi di bottiglie ricurve. Eravamo noi due. Lei con la sua intensità negli occhi, io con la voglia di assorbirla tutta.

– Lina-
– Cosa c’è?-
– Ti ho portato un regalo per il tuo compleanno-
– Ma non è il mio compleanno-
– Lo so, ma non sapendo quand’è, e avendo trovato questi piatti abbandonati, ho pensato che ti avrebbero fatto piacere per usarli per mischiare i colori.

Fino al ’95 abitavamo in uno splendido palazzo in centro. Ora nel 2020, io abito a due isolati da lì in una casa con una cucina rossa con i piatti verdi, con un salotto bianco dove sulla parete c’è disegnato un albero. E per ogni ramo una mensola. E per ogni mensola dei libri, tranne che in una. Perchè in quella più in basso spiccano quattro piatti bianchi, anonimi per i più, in celebrazione di un compleanno, ma non sapendo quando lo è, per me ogni giorno è festa.

Grazie Signora Lina.

26/30 – Utopia portami via

30 Ott

Il progetto #sedottaeabbandonata è quasi agli sgoccioli e so già che mi mancherà. Oggi è venuta @LaGhisaura a farci compagnia con la sua foto per un racconto magari utopico ma speranzoso.

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Alle elementari i miei compagni maschi mi saltavano sullo zaino fino a ridurmi, tutte le sante mattine, la mia merenda in poltiglia. I miei crackers integrali, quelli della Misura, me li ricordo ancora, a quel punto potevi mischiarli con l’acqua e usarli per affiggere i manifesti.

Alle elementari i miei compagni maschi mi chiamavano “mezza cartuccia ciucciata”.

Alle elementari i miei compagni maschi mi davano i calci sotto il banco, e non avevo più due tibie rosa cipria, ma due tibie che tendevano al blu ceruleo. Ma guai a lamentarsi con i genitori – ma come si permette di parlare male di mio figlio, che è un Santo” – ripetevano all’unisono a mia madre che se ne andava sconsolata.

La mia maestra, pora stella, non si accorgeva di nulla. Neanche se le facevo vedere la bustina di polvere di crackers. Se le indicavo le impronte delle scarpe sulla mia cartella. Se avevo il grembiule inzuppato di lacrime. Figuriamoci le tibie blu. Lei sorrideva, con quello sguardo verso il vuoto, mi dava una carezza sulla guancia, sempre guardando verso il vuoto e mi offriva i suoi biscotti a merenda, che io mangiavo ancora con il moccio che scendeva dal naso.

I palloni gonfiati quindi non li ho mai sopportati ma alle elementari non ci potevo fare nulla. Ero sottopeso, ero stata malata da tanti anni e, in più, non capivo perchè ce l’avessero proprio con me.

Sembra quasi un paradosso. Le persone più fragili, quelle che dovrebbero essere più abbracciate, più protette e aiutate diventano invece quelle più vessate. Pensate a come sarebbe bello vivere un’esistenza morbida, color pastello, dove vivere, il vivere, è la cosa che ci piace di più fare. Alzarci già con il sorriso, affrontare tutta la giornata sapendo già, anche se sarà dura, che potremmo contare su tutti. Senza persone che saltano la fila. Senza arrampicatori sociali che venderebbero loro madre pur di far carriera. Senza quelli che fanno finta di essere investiti, proprio da me poi che la patente non ce l’ho, per due soldi in più. Non sono un’utopista, voglio essere invece realista, contro tutte le aspettative. Voglio che le cose cambino, subito, ora. Per me , per i miei figli, per le generazioni future. Sta già andando tutto a puttane, ma che almeno il rispetto e la gentilezza prendano il sopravvento.

– Cosa dite? Che voi ci sarete sempre?

-Ma io quel pallone, da palloni gonfiati, ve lo buco, sapete?

25/30 – Il gioco dei colori

29 Ott

Oggi per il progetto #sedottaebbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati per strada) ospitiamo @duesoli , che mi ha messo a durissima prova con la sua fotografia, ma si sa, che le sfide impossibili sono quelle più stimolanti.

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-Qual è il tuo colore preferito?

– Il blu, perchè?

– No, niente.

Questa è stata la domanda che ho fatto al primo appuntamento con quello che poi sarebbe diventato il mio compagno di vita.

Noi donne, lo ammetto, facciamo spesso domande che potrebbero sembrare strane e fuori luogo. Domande retoriche alle quali non si dovrebbe rispondere, ma alle quali, puntualmente, gli uomini rispondono sempre, e in più in modo sbagliato. Domande innocenti ma che sotto sotto hanno tutte un ragionamento dietro.

Ora, sarò sincera, in quell’esatto momento non è che mi importasse veramente di sapere quale fosse il suo colore preferito, ma la risposta, magari un giorno, mi sarebbe potuta essere utile.

CONDUTTORI ELETTRICI : Un caso comune è l’utilizzo per sostenere meccanicamente dei conduttori sospesi (cavo nudo, ovvero senza isolante) sulla struttura di supporto (esempio un palo) evitando dispersioni di corrente sulla struttura stessa.

-Qual è il tuo colore preferito?

-Il blu. Ma questa domanda me l’hai già fatta la prima volta che ci siamo incontrati, cinque anni fa. E alla mia risposta non hai più detto niente. Però dopo poco mi hai baciato e sono entrato in un’altra dimensione, e da lì non sono più uscito.

-Guarda, vedi questa linea blu su questa piccola scatolina di plastica bianca?

– Quindi mi stai dicendo che …?

– Ti sto dicendo che …!

In quei momenti il tempo si ferma. Tu donna trattieni il fiato, non sai mai quale sarà la reazione di chi hai davanti. Potrebbe essere quella che ti aspetti, o potrebbe prenderti in contropiede. Ma quando gli occhi si illuminano non c’è neanche bisogno di parlare.

– E io che cosa dovrei fare ora per aiutarti?

– Vedi, tu sei un elettricista e in questi anni mi hai coinvolto nei tuoi progetti di lavoro, e ho imparato un sacco di cose anche se avrei preferito fare altro. Mi hai insegnato il compito del conduttore per esempio. Quello di sostenere dei cavi elettrici e tenere lontano, bloccare, l’elettricità nei cavi dalla struttura che lo sostiene, se ho capito bene. Tu quindi sarai il conduttore e io la struttura. E questo sarà il tuo compito in questi nove mesi. Creare un invisibile barriera tra quelli che vorranno impormi tutti i loro saperi sull’argomento gravidanza, giusti o sbagliati che siano. Fare da filtro e permettermi di avere un periodo sereno accollandoti, anche se con grande fatica, tutto quel quantitativo di pressione elettrica che potrebbe farti male, ma non sarà fatale, non preoccuparti, ma io sarò “salva. Il conduttore è un oggetto forte, che sopporta il dolore ma non lo dà a vedere.

Qual è il tuo colore preferito?

Il blu, senza ombra di dubbio!

24/30 – Ti conosco mascherina!

28 Ott

“Here comes the sun” intona una stupenda canzone. Anche qui è tornato il sole e forse anche un briciolo di ottimismo. Oggi il progetto #sedottaeabbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati) è in collaborazione con il mio amico @FrankyTraboda, compagno di scrittura e corsa.

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Senti come si infrange il mare sugli scogli da quando se ne sono andati tutti. Questo rumore assordante, questi boati continui, intervallati solo dai brevi silenzi della risacca, eravamo abituati a sentirli solo di notte o durante il fine settimana, ricordi? Come dici? Sì, certo, hai ragione, almeno compensano l’assenza del vociare dei nostri bambini, ma non è la stessa cosa. Già, i nostri bambini, come dimenticarli? Non stavano fermi un attimo. Gridavano in giardino, gridavano in refettorio, gridavano nelle classi. Persino nei bagni. Ma era un bel gridare. Avevano da dire, da dire in continuazione. Dire, parlare, urlare, gridare, strepitare era il loro modo di esprimersi. Lo facevano per dire “ehi, esisto anche io, e ho qualcosa da dire a riguardo”.

 Dite, dite, bambini, dite sempre la vostra. Non preoccupatevi se poi nessuno vi ascolta, voi ditela sempre e comunque. Non siate timidi. Fate di tutto per farvi ascoltare. Alzate la voce, sbattete i piedi e i coperchi delle pentole, e fatevi sentire. Non importa poi se a torto o ragione, perché in questi casi voi non avete abbastanza esperienza per giudicarlo. L’importante è che abbiate qualcosa per cui alzarvi sulle punte delle vostre scarpette, per farvi vedere meglio, alzando il braccio e prendendo la rincorsa con le parole per poi soffiarle fuori come un uragano quando è il vostro turno per parlare.

Avete tutta la vita per imparare a parlare con calma. Formulare delle frasi di senso compiuto. Lasciare di finire parlare gli altri prima di interrompere. Dare buoni consigli o darne di cattivi. Accettare compromessi, buone maniere e ingessate educazioni. Ma ora no, ora è il tempo del farsi sentire per plasmare, a vostra immagine o somiglianza, e non a quella di altri, il vostro carattere.

Io e te caro, siamo qui da almeno dieci anni e sopra di noi sono passati e litigati tanti di quei bambini che il numero tende all’infinito, ma i loro volti sono scolpiti nella nostra testa. Ognuno con una sua storia, ognuno con una sua avventura in testa. E, io e te amico mio, ogni volta diventavamo qualcosa di diverso. Un cavallo, un treno, un camion, un unicorno volante a seconda delle loro esigenze. E li abbiamo sempre lasciati fare. Anche se alla fine ci davano un calcio e ci abbandonavano nel cortile come ora. Ma non importa bambini, tornate presto, e con voi ci inventeremo nuovi giochi. Vi va bene il “ti conosco mascherina?”.

23/30 – Da vicino nessuno è perfetto

27 Ott

Per il progetto #sedottaebbandonata (30 racconti in 30 giorni con vostre foto di oggetti abbandonati per strada) si parla di fiducia negli altri. Un enorme ringraziamento ad @alessiamaghella e alla sua splendida foto.

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La fiducia negli altri va sempre riposta, succeda quel che succeda, se no, non vale la pena vivere. Se non posso fidarmi di nessuno, o se non posso fidarmi anche solo di uno, allora a cosa serve continuare. Questo è il mantra che mi ripeto tutte le mattine, ancora prima di mettere giù i piedi dal letto. A proposito, mi chiamo Duzio e sono, anzi vengo considerato, il matto buono del paese.

Mi sono trasferito qui al lago da qualche anno, da quando sono andato in pensione. Più che una vera pensione, la mia è una pensione d’invalidità. Sinceramente non so che cosa mi manchi nella testa, non l’ho mai capito. Ma a me sembra di avere tutto in regola.

Ho lavorato per tanti anni, fin da bambino, in moltissimi posti. Ho scaricato le casse al mercato, ho fatto per qualche tempo la maschera nell’unico cinema del mio paese, venduto porta a porta aspirapolveri, o almeno ci ho provato, e lavato i piatti in qualche ristorante. Fino a che un tale “sistema” non sì è accorto che non funzionavo a dovere. Che le mie rotelle non erano abbastanza oliate per girare senza fare rumore. Dicevano che pareva che io emettessi, per farmi capire meglio, una specie di stridulo fischio dalle orecchie simili allo sfregamento tra ferri arrugginiti quando cercavo di pensare. Mancavano solo le scintille, e allora mi hanno messo a riposo.  

Ma io a riposo mica ci sto male, anzi. Grazie a degli amici, perché ho un sacco di amici che mi vogliono bene, sono riuscito a vendere la vecchia casa di mia mamma, dove ci abitavo con lei, e sempre grazie a questi amici, ho trovato la nuova casa, di due stanze. Con la tappezzeria di un bel verde oliva che mi ricorda tanto i racconti della nonna quando da piccola andava a raccoglierle.

Giro tutto il giorno con la mia bicicletta nuova, quella che sto pagando, al mio amico Giorgio del negozio, quindici euro al mese. Praticamente, dall’alba al tramonto, faccio il giro di tutti i negozianti della zona per salutarli, non è meraviglioso? Loro ci tengono che io passi, e la sera torno a casa soddisfatto. Lei, fedele compagna di viaggio, mi accompagna in tutti i miei percorsi. La lascio in giro ovunque, e sempre in quell’ovunque io lì la ritrovo.

Dicevo che io ho do fiducia a tutti. Perché non dovrei? Forse sarò stato fortunato, ma nella mia vita non mi sono mai successe brutte cose. O forse sono successe ma io non me ne sono accorto perché ho le famose rotelle fuori posto. E allora? Forse è meglio non accorgersi delle brutture della vita a questo punto.

-Eccola, eccola, Franco attracca il gozo velocemente, che c’è lei che mi aspetta. Chissà che freddo che ha avuto. Per me questi due pesci? Ma veramente? Grazie sei sempre così gentile. Domani allora vengo a salutarti sia di mattina che di pomeriggio in pescheria, so che ti farà piacere.

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